Andrea Pazienza

1956, San Benedetto del Tronto, IT

Andrea Pazienza, arte e rivoluzione di Vincenzo Sparagna.

 

Del gruppo di autori che, uniti e sostenuti dalla rivista Frigidaire, hanno modificato per sempre il rapporto tra il fumetto e il resto delle arti visive, Andrea Pazienza è stato indubbiamente il più popolare e influente. Nel 1986, in un editoriale, lo chiamai “il nostro Leonardo, il nostro Mozart” per la morbidezza, la perfezione, la profondità del segno e del linguaggio. Le sue storie, le sue illustrazioni, i suoi ritratti, le sue invenzioni sono state il vertice estremo di una ricerca che, partendo dal basso, fuori del macrosistema galleria-critico-mercato, ha restituito all’arte la capacità di raccontare il mondo con scanzonata eleganza, oltre l’illusione progressista delle avanguardie storiche e gli infiniti “ismi” del XX secolo. Pazienza, come pochissimi altri contemporanei, è stato un personaggio di confine. In lui convivevano l’intelligenza dell’intero ciclo della grande arte, dalla scultura greca a Kandinskij, e il gusto naturale per la delicata perfezione dell’illustrazione ottocentesca, i cartoni animati, la più disinibita comunicazione pop. Un’ampiezza di riferimenti visivi e concettuali che tuttavia non comportava nessun eclettismo superficiale. E questo non solo perché egli ha raggiunto presto una grafìa personale inconfondibile pur nelle infinite varianti di tecniche e stili, ma perché si fondava su un’idea dell’estetica come ricerca del bello e del giusto, frutto maturo e succoso delle lotte di una generazione che nel 1977 aveva provato a liberarsi da ogni soggezione ideologica e da ogni dogmatismo formale novecentesco. Per Pazienza, in perfetta sintonia con il progetto rivoluzionario di Frigidaire di cui fu tra i fondatori, l’arte è stata allo stesso tempo la via meravigliosa per riscoprire la bellezza del creato, ma anche il modo più diretto di combattere gli orrori e le ingiustizie del mondo contemporaneo. Questa relazione profonda tra estetica ed etica, tra arte e rivoluzione, è anche la ragione della sua straordinaria capacità di collaborare senza alcun tipo di gelosia individualistica con altri autori impegnati come lui a fondere la ricerca stilistica e la ribellione. Penso in particolare al nostro gruppo: a Tamburini, a me stesso, al crudo Scozzari, al raffinato Mattioli, al neoclassico Tanino. Con questi fratelli ideali e compagni d’avventura Pazienza aveva un rapporto di scambio umile e generoso. Prestava le sue matite al primo Rank Xerox di Tamburini, accettava folgoranti battute di Scozzari e d’altri per qualche sua immagine muta, inventava con me e intorno ai miei disegni, tra il serio e il beffardo, l’Arte Maivista, trasformava tutti noi in personaggi bizzarri di storie fantastiche (si guardi la fiammeggiante “Leggenda di Italianino Liberatore”). Per Andrea l’arte era una prateria infinita dove possono cavalcare fianco a fianco, ciascuno seguendo la sua stella, i Leonardo e i Bosch, gli El Greco e i Matisse, i Mondrian e i Grosz. Gli era estraneo l’avaro egoismo del copyright ossessivo, la meschina gelosia dei mediocri. D’altra parte se questo è il contesto collettivo, sociale, movimentista dell’opera di Paz, vi è poi, come per ogni vero artista, una dimensione assolutamente solitaria e originale del suo genio. È quello che Maurice Blanchot definiva il silenzio interiore del poeta, la relazione misteriosa dell’autore con l’opera, che, pur essendo un suo doppio, si stacca da lui, come il frutto si stacca dall’albero e il figlio dal padre. E qui si apre un altro capitolo affascinante. Perché in Pazienza convivono immedesimazione e invenzione, amore per tutte le forme conosciute dell’immagine e ricerca ininterrotta dello stupore. Egli non raggiunge il suo personalissimo stile escludendo, ma includendo e trasformando. L’incanto provato per i libri della Scala d’Oro, una storica collana di libri per l’infanzia impreziosita da disegnatori come Gustavino, lo introduce sin da piccolo alla perfezione dei classici. La sua passione per la letteratura gli fornisce spunti e scenari sia con i racconti di guerra di Sven Hassel, che con i versi gioiosi del Poliziano o i duelli eroicomici di Dumas. E nel disegno gli sono vicine come ombre affettuose le più belle figure del fumetto: i paperi umani di Walt Disney, le presenze aliene di Moebius. La sua versatilità, la velocità del segno, la prodigiosa memoria visiva si univa in lui al gusto dell’inquadratura, al taglio da grande regista che piazza la sua camera con la sicurezza di aver scelto le luci e lo scorcio più efficace.

Questa capacità di sintesi visiva del mondo non deriva solo dallo studio, ma dalla passione, dall’ardore. Andrea passava senza difficoltà dall’osservazione diretta di persone, animali e piante, all’osservazione della loro storica traduzione sul foglio. E questo suo passare leggero, la sua fusione felice di realtà e fantasia, è anche il segno più profondo del suo passaggio tra noi mortali.

Mi sono chiesto spesso in questi ultimi 26 anni:  cosa avrebbe fatto e pensato Pazienza se fosse sopravvissuto a quella disgraziata overdose del giugno 1988. Osservando la parabola di altri autori, innovativi da giovani, ma impegnati nella stanca ripetizione di se stessi nelle età più alte, si potrebbe supporre che anche Paz…, ma si commetterebbe un grave errore. La turpe “maniera”, che imprigiona e isterilisce l’artista compiaciuto di sé, non apparteneva al nostro Leonardo pugliese. Egli era uno sperimentatore inesausto e curioso, schierato nel cuore con gli ultimi che non saranno mai primi. Sono convinto che a spingerlo sempre avanti sarebbe stata la sua umiltà da vero maestro che non smette mai di esplorare e imparare da tutti e da ogni cosa, la genuina indignazione civile, la innata dignità di anomalo gentiluomo meridionale.

Del resto nei suoi racconti più celebri, come Zanardi, vi è già la critica dolente e iperreale dei giovani irretiti dal cieco individualismo, egoisti fino all’autolesionismo. Rispetto al crollo del senso collettivo della vita nel quale siamo ancora immersi, Pazienza è stato una forza di contenimento, una bandiera di protesta. Perciò, anche se la storia non si fa con i se, possiamo ben dire che “se” avesse continuato a vivere, la sua arte ci avrebbe aiutato a resistere all’inferno morale dilagante. Purtroppo dopo la morte, egli è stato sì celebrato, ma riducendolo spesso all’icona patinata dell’autore di successo, magari avvolto come certe rockstar da un’aura maledetta. A questa immagine deformata della sua umanità e della sua arte, fosse stato vivo, avrebbe risposto con una risata. Ma chi sa leggere la ritroverà comunque tuttora squillante nelle sue vignette, nel suo linguaggio straniato e grottesco, nel colore teneramente acceso e nelle linee decise dei suoi pennarelli. Da quei fogli un Andrea fraterno, come il sorridente Cristo di una sua indimenticabile pagina di Frìzzer, dice a tutti di continuare il cammino “per aspera ad astra”. 

Enzo Miglio

 

Uno dei miei pezzi storici su Andrea Pazienza è la testimonianza su di Lui che mi ha donato Enzo Miglio.

Pazienza in giovanissima età aveva illustrato un libro di un Professore di San Severo amico del Padre. Erano molti anni che cercavo questo libro fino a un giorno nel quale, grazie al mio lavoro, chi ho conosciuto? Incredibile a dire ma era proprio Enzo Miglio . Sembra una storia inventata ma credo proprio che il destino possa giocare questi strani scherzi. Proprio il Prof. Miglio mi ha regalato, bontà Sua, una copia del libro con le splendide illustrazioni di Pazienza e ha scritto per me la storia interessante della collaborazione di Andrea che all’epoca aveva 13 anni.